mercoledì 29 giugno 2011

IL MARCHESE DI SAINT-LOUP, Marcel Proust

Un pomeriggio di gran caldo ero nella sala da pranzo dell'albergo, che, per proteggerla dal sole, avevano lasciato in penombra tirando delle tende che la luce ingialliva e che, dagli interstizi, lasciavano occhieggiare l'azzurro del mare, quando, nell'arcata centrale che andava dalla spiaggia alla strada, vidi, alto, esile, col collo scoperto, la testa alta e fieramente eretta, passare un giovane dagli occhi penetranti e la cui pelle era così bionda e i capelli così dorati come se avessero assorbito tutti i raggi del sole. Vestito di una stoffa morbida e biancastra, come non avrei mai creduto che un uomo osasse portarne, e la cui leggerezza evocava, non meno che il fresco della sala da pranzo, il caldo e il bel tempo di fuori, camminava svelto. I suoi occhi, da uno dei quali cadeva a ogni momento un monocolo, erano color del mare. Tutti lo guardarono con curiosità mentre passava, si sapeva che il giovane marchese di Saint- Loup-En-Bray era celebre per la sua eleganza. Tutti i giornali avevano descritto l'abito con cui aveva recentemente fatto da padrino al giovane duca di Uzes, in un duello. Sembrava che la qualità così particolare dei suoi capelli, dei suoi occhi, della sua pelle, della sua figura, che lo avrebbero fatto distinguere in mezzo a una folla come un prezioso filone d'opale azzurro e luminoso, incastonato in una materia grossolana, dovesse corrispondere a una vita diversa da quella degli altri uomini. E di conseguenza, quando, prima della relazione di cui si doleva la signora di Villeparisis, le più belle donne del gran mondo se l'erano disputato, la sua presenza, per esempio su una spiaggia, accanto alla bellezza rinomata a cui faceva la corte, non solo metteva in primo piano la donna, ma attirava gli sguardi sopra di lui quanto sopra di lei. Per il suo chic, per la sua impertinenza di giovane "leone", e soprattutto per la sua straordinaria bellezza, certuni gli trovavano anzi un'aria effeminata, ma senza rimproverargliela, perchè si sapeva quanto fosse virile e quanto appassionatamente amasse le donne. Era quel nipote della signora di Villeparisis di cui lei ci aveva parlato. Mi incantò il pensiero che l'avrei conosciuto per qualche settimana, ed ero sicuro che mi avrebbe dato tutto il suo affetto. Attraversò rapidamente l'albergo in tutta la sua larghezza, e pareva inseguire il monocolo che gli volteggiava davanti come una farfalla. Veniva dalla spiaggia, e il mare, che riempiva fino a mezza altezza le vetrate della halle, gli formava uno sfondo su cui si stagliava in piedi, come in certi ritratti dove taluni pittori pretendono, senza affatto scostarsi dall'osservazione più esatta della vita d'oggi, ma scegliendo per il loro modello una cornice appropriata - campo di polo, di golf, ippodromo, ponte di uno yacht - di dare un equivalente moderno di quelle tele dove i Primitivi facevano apparire la figura umana nel primo piano di un paesaggio. Una carrozza a due cavalli lo aspettava davanti alla porta; e mentre il suo monocolo riprendeva a svolazzare sulla strada assolata, con l'eleganza e la maestria che un grande pianista trova il modo di mostrare nel passaggio più semplice, dove sembrava impossibile che sapesse mostrarsi superiore a un esecutore di second'ordine, il nipote della signora di Villeparisis, prendendo le redini passategli dal cocchiere, gli si sedette a fianco, e, aprendo intanto una lettera consegnatagli dal direttore dell'albergo, fece partire i cavalli.

Steer Wilson

1 commento:

giovanna ha detto...

magnifico ritratto, sembra di essere anche noi lì nel grande albergo assolato ad ammirare il bel-mondo di un dì!